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Israele non porgerà l’altra
guancia Il
governo israeliano ha fatto sapere di non avere nessuna intenzione di
rispettare risoluzioni Onu contrarie agli insediamenti a Gerusalemme est e in
Cisgiordania. La spiegazione è semplice: quando nel 2005 Sharon fece
smantellare le colonie nella striscia di Gaza, ricevette una pioggia di razzi
dal territorio riconsegnato ai palestinesi. Non basta la presunta buona
volontà di Abu Mazen che si dice sempre pronto alle trattative di pace, dato
che il presidente dell’Autorità palestinese controlla più o meno Ramallah. Se
Hamas non intende nemmeno sedersi al tavolo con Israele, non è possibile
nessuna trattativa e il rifiuto di Hamas non dipende dalle colonie, ma dal
rifiuto dell’esistenza di uno Stato ebraico. Per questo Netanyahu ha fatto
sapere con molta chiarezza che non porgerà l’altra guancia. Il premier
israeliano confida nella nuova amministrazione statunitense. Trump sembra
comprendere meglio le difficoltà di quanto abbia fatto Obama in otto anni, le
difficoltà in cui vive Israele. Quello che emerge dal voto dell’Onu è però
che i rapporti con l’Europa sono deteriorati, dal momento che persino il governo
Britannico ha sostenuto la risoluzione contraria agli insediamenti. La
Francia da parte sua, prepara una conferenza internazionale per la fine di
gennaio dove già si presume che Israele venga accusata di essere il
principale ostacolo alla pace. La proliferazione della popolazione islamica
nel continente europeo e la minaccia di attentati, non aiutano certo una
valutazione equilibrata nei confronti del contenzioso in medio oriente.
Sempre in Francia torna a processo uno storico di origine ebraica che ha accusato
la religione mussulmana di nutrire con l’antisemitismo i suoi aderenti fin
dalla culla. Non è facile mantenere un giusto equilibrio in una situazione
così complessa, dove sicuramente anche lo Stato ebraico ha commesso e può
commettere degli errori, come può commetterne chi vive in una condizione di
permanente insicurezza. Quello che non si può accettare è invece pensare di
scaricare su Israele ogni responsabilità, non perché sinceramente convinti,
ma per il desiderio di compiacere un’opinione pubblica sempre più numerosa
legata all’islam, o peggio, per la paura di non compiacere abbastanza questa
comunità sempre più numerosa nel nostro continente. Roma, 28
dicembre 2016 |
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